Si, lo so. Deville non è uno da giapponeserie del genere L'IMPERO DEI SENSI, o imburrate da ULTIMO TANGO A PARIGI: all'autore di LA LETTRICE interessa La Parola.

Il suo ultimo film vuol essere la traccia astratta di una parabola, sulle ali del linguaggio. Parabola che allontana una coppia dal momento di maggior intimità fisica per condurla a quello della più alta conoscenza spirituale (o, non esageriamo, magari anche solo verbale...). Dimentichiamoci (ma perché poi? Deville aveva fatto dei film che erano anche sensuali) allora dell'erotismo: quello di Anglade e Trintignant è tutto nei gesti (che, al limite, sono osé nella loro, diciamo, collocazione) e niente nella testa. Che è quella, come ci hanno sempre detto, che solo conta: e tutto ci lascia, infatti, completamente indifferenti.

Quel tipo di coinvolgimento dello spettatore potrebbe anche importare poco: ma il guaio è che riguarda tutto il film. NUIT D'ETE EN VILLE è una di quelle meccaniche pensate perfette, ma che ingranano a stento, proprio per la loro precisione: i dialoghi, che dovrebbero trascinare il film come succedeva ne LA LETTRICE, sono clean come le carezze. Scivolano, e vanno, lasciando il tempo che trovano.

Il che, mi direte, è grave per le carezze. Ma anche per le parole: se ci costruite sopra, come Deville, un film di una notte.